Sapere è potere

«Sapere è potere»: nell’ambiente competitivo e sofisticato degli affari, questo detto è oggi più attuale che mai. È quindi ovvio che la gestione delle conoscenze sia di fondamentale importanza.Disse il filosofo greco Socrate: «L’unico bene è la sapienza e l’unico male è l’ignoranza». Nel mondo odierno degli affari, la conoscenza accelera significativamente lo sviluppo dei prodotti e rende più sofisticate le esigenze dei consumatori.

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Sintesi

Per l’esterno, la SKF gestisce il portale @ptitudeXchange (www.aptitudexchange.com) dove i clienti possono abbonarsi per consultare documenti SKF e sistemi esperti online.

All’interno, la SKF ha organizzato il Group Technology Development attorno a diverse aree di competenze e tecnologie in linea con il business. Sono disponibili diversi sistemi dedicati per snellire i rapporti di ricerca e sviluppo, la gestione delle informazioni su prodotti e soluzioni e le relazioni con i clienti. Un aspetto sempre più in primo piano è il mettere le persone in contatto le une con le altre, per esempio grazie ad una sorta di «pagine gialle». Non limitandosi ad essere una guida del telefono, esse consistono in un elenco di competenze, esperienze e profili di ciascun dipendente ovunque nel mondo.

«Sapere è potere»: nell’ambiente competitivo e sofisticato degli affari, questo detto è oggi più attuale che mai. È quindi ovvio che la gestione delle conoscenze sia di fondamentale importanza.Disse il filosofo greco Socrate: «L’unico bene è la sapienza e l’unico male è l’ignoranza». Nel mondo odierno degli affari, la conoscenza accelera significativamente lo sviluppo dei prodotti e rende più sofisticate le esigenze dei consumatori.

Agli albori dell’industrializzazione, i principali fattori di condizionamento della produzione erano le materie prime, la manodopera ed il capitale. Oggi è piuttosto la conoscenza, dice Gerard Schram, knowledge manager di @ptitude, una business unit della SKF, nata dall’iniziativa della SKF Service Division.

«Per produrre valore, sono sempre più numerosi coloro che usano la testa invece che le mani. La SKF per esempio, invece che conservare semplicemente il suo ruolo di azienda fornitrice di prodotti, si va trasformando in una fornitrice di soluzioni che includono servizi e prodotti innovativi. La gestione delle conoscenze mira a rendere i nostri ‘lavoratori del sapere’ i più produttivi possibile».

Schram definisce la gestione delle conoscenze come un approccio strutturato alla creazione, al consolidamento e alla condivisione delle conoscenze per migliorare la performance sul mercato.

Sviluppo di nuovi prodotti
Il dott. Jan Grzonka è vicedirettore della ricerca e sviluppo della Household and Bodycare Division della Sara Lee, multinazionale di prodotti di consumo; qui, le conoscenze delle esigenze dei clienti sono determinanti per la sopravvivenza.

«La Sara Lee ha concentrato la sua attenzione sull’utilizzo e lo sviluppo della gestione delle conoscenze per accelerare e migliorare la sua attività più importante: lo sviluppo di nuovi prodotti», dice Grzonka. «Abbiamo così realizzato una serie di strumenti pratici per aiutare i project team multidisciplinari a perfezionare la ricerca delle conoscenze esistenti all’interno e all’esterno, per poterle poi sfruttare distribuendole tra i colleghi in un modo efficace e magari anche divertente. In breve, questi strumenti aiutano le persone ad imparare prima, durante e dopo i progetti».

Spinta più forte
Brad Vigers è membro del team responsabile della gestione delle conoscenze della Shell International Exploration and Production (Shell EP), una unità che si occupa non tanto di conoscere i clienti quanto di individuare e sfruttare nuovi giacimenti di petrolio e gas.

Vigers è convinto che la gestione delle conoscenze ha acquistato importanza negli ultimi vent’anni, perché è aumentata l’esigenza di diventare più efficienti e più flessibili ai cambiamenti, ricercando nuovi modi di lavorare.

«Il ritmo dei cambiamenti è oggi molto veloce ed i concorrenti sono molto più agili, quindi dobbiamo avere una maggiore prontezza nelle risposte», spiega Vigers.

Egli spiega che la Shell EP guarda la gestione delle conoscenze da tre angolazioni: persone, processi e tecnologia; al centro ci sono sempre le esigenze del business. «Tutto ciò che facciamo deve sempre soddisfare una esigenza del business», dice Vigers.

Ma quali sono le fonti delle conoscenze? Schram della SKF fa alcuni esempi: acquisizioni di nuove unità, nuove assunzioni, collaborazione con università, attività interne di ricerca e sviluppo, esperimenti. Acquisire nuove conoscenze altrove non è certo difficile in un’epoca in cui c’é una sovrabbondanza di informazioni: il difficile può essere farle restare all’interno dell’azienda e tradurle in prodotti o servizi utili ed innovativi. Prima di tutto occorre fare sì che tutti condividano le proprie conoscenze ed esperienze internamente all’organizzazione.

«Fondamentalmente esistono due tipi di conoscenze: le cognizioni che la persona possiede senza esserne consapevole e le informazioni che vengono acquisite dall’esterno», dice Schram, secondo il quale una buona infrastruttura di gestione delle conoscenze deve essere in grado di mettere i dipendenti a contatto con entrambe. «È necessario mettere le persone a contatto le une con le altre e dare loro la possibilità di mettere in comune le proprie esperienze attraverso formazione, intranet, riunioni. Ed è necessario mettere le persone in grado di acquisire direttamente le informazioni».

Vigers della Shell EP distingue tra conoscenze tacite ed esplicite. «Le persone non sono sempre consapevoli di ciò che sanno, e l’azienda cerca di attingere a queste conoscenze tacite; è proprio tra esse che si nascondono i veri tesori», spiega.

Schram ammette che può non essere facile fare in modo che la gente metta in comune le proprie conoscenze. «Si deve creare una cultura della condivisione, tale che entri a far parte delle routine quotidiane», dice Schram. «In un’azienda fortemente tecnicizzata come la SKF, gli ingegneri tendono a trovare da soli le proprie soluzioni. Anche se vorrebbero mettere a disposizione le proprie esperienze, non sono addestrati a farlo».

La soluzione, dice Schram, è rimuovere le barriere e dare un riconoscimento a coloro che sono disposti a mettere in comune le conoscenze. «Essere esperto in un particolare settore può dare grandi soddisfazioni. Essere riconosciuti tali è essenziale per ottenere l’impegno dei dipendenti e dei manager».

Vigers della Shell EP è d’accordo. «Essere depositari di conoscenze significa avere un potere. È necessario rendere la gente consapevole del fatto che le conoscenze sono tra i pochi beni che possono aumentare di valore quando vengono condivisi».

Per facilitare la condivisione, la Shell EP ha identificato in tutto il mondo 250 esperti e consulenti interni, i quali possono dedicare ogni anno 15 giorni interi, attraverso visite personali o via e-mail, ad aiutare i colleghi a risolvere i problemi.

Risolvere i problemi
Per Vigers, una notevole parte del valore degli strumenti e dei processi di gestione delle conoscenze dell’azienda consiste nel fatto che essi si basano su comunità di persone in tutto il mondo. Egli non crede che istituire dei semplici database sia un buon modo per catturare le conoscenze esplicite. «Le persone in cerca di informazioni non prendono spesso questa via. Invece che un approccio dall’alto in basso, noi vogliamo discussioni libere e programmi di condivisione su base volontaria».

Di conseguenza, l’azienda ha istituito chat room basate su intranet, che vengono largamente utilizzate da 15.000 professionisti tecnici in tutto il mondo. Ogni giorno vengono inviate 200-300 domande su 12 reti che si rivolgono a diverse aree o comunità.

Un altro potente strumento di condivisione delle conoscenze è la narrazione (per esempio su riviste appositamente indirizzate ai clienti). «Piuttosto che fatti isolati», spiega Grzonka della Sara Lee, «le persone ricordano con più facilità le storie interessanti, che possono interpretare e dalle quali possono trarre insegnamenti. Però è necessario che siano storie ben congegnate, che non sembrino prediche e che trattino di persone vere ed eventi veri».

Anche la Shell EP ha constatato l’efficacia di narrare dei casi pratici. «Questo serve per cambiare la nostra mentalità commerciale e migliorare la nostra pratica delle conoscenze», dice Vigers, e aggiunge: «Una buona storia, ben raccontata, ha il potere di ispirare innovazioni, sfide personali e progressi nella professione. Le storie possono incoraggiarci a cambiare, a pensare fuori dai soliti schemi, a cercare l’aiuto degli altri».

La Shell EP afferma che in alcuni casi l’azienda deve condividere le conoscenze esclusive con i subfornitori, nonostante il rischio che trapelino alla concorrenza. «Ci si deve porre una domanda», dice Vigers: «Vale la pena di nascondere all’azienda che lavora per noi una data informazione? Se non si mettono le giuste conoscenze in comune con i propri consulenti, il risultato può essere che li dovremo pagare di più».