Daniel Thorniley – Uomo di parola e azione

Daniel Thorniley è un personaggio non comune: consulente, economista, analista e, nello stesso tempo, oratore molto richiesto, che gode della stima e del rispetto degli uomini d’affari.

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Sintesi

ETA’: 51
RESIDENZA: a Vienna, felicemente da 24 anni
FAMIGLIA: sposato con Maria, padre di Natasha
HOBBY: leggere, guardare DVD, esercitare la mente
FILM PREFERITO: Casablanca
LIBRO PREFERITO: Il maestro e Margherita, di Bulgakov

Daniel Thorniley è un personaggio non comune: consulente, economista, analista e, nello stesso tempo, oratore molto richiesto, che gode della stima e del rispetto degli uomini d’affari.

Daniel Thorniley,senior vice president del Gruppo Economist, gestisce 200 clienti, tiene regolarmente riunioni informative e presentazioni interne con i massimi dirigenti delle principali multinazionali e con eminenti responsabili delle decisioni. Nel contempo, è un prolifico autore di relazioni, articoli e libri. Professionista allo stato puro, sa essere piacevolmente chiaro e diretto, oltreché coerente.

Il suoi discorsi trattano di casi e situazioni reali e sono venati di ironia.

Tra le chicche di Thorniley: Come far crescere la popolazione europea e farla lavorare tanto quanto si lavora negli Stati Uniti? “Facendo sì che gli europei abbiano più lavoro e facciano più sesso”. La Germania? “Il Brasile d’Europa senza la squadra di calcio”. La Banca Centrale europea: “Hanno perso quattro anni a combattere un’inflazione inesistente”.

Il segreto del suo successo? “Umorismo e niente PowerPoint. Per guardare le immagini si va nelle gallerie d’arte”, dichiara. Possiede anche quel tratto, tipicamente britannico, che lo rende leggermente schivo.

Thorniley possiede altresì l’esperienza pratica con la quale possono identificarsi i responsabili di azienda.Secondo Thorniley, i dirigenti non gestiscono efficacemente le aspettative: “Essi hanno esperienza in termini di volumi, ma non hanno coscienza dei mercati emergenti.”

 

Thorniley sostiene che,negli ultimi anni, le società non sono riuscite a far crescere gli utili della top-line né sui mercati dell’Europa occidentale né in quello americano, poiché sono ormai saturi. Conquistare ulteriori quote di mercato o costruire marchi societari risulta costoso e ridurre i costi attraverso la riduzione degli effettivi è diventata la visione aziendale. Aumenta anche l’incertezza della vendita diretta, dato che i consumatori americani acquistano spesso a credito e l’Europa occidentale è passata attraverso una “crisi economica lunga sei anni”.

Le principali imprese occidentali ricavano utili soddisfacenti attraverso l’outsourcing e la vendita a mercati più dinamici e a elevato tasso di crescita, in particolare nei paesi dell’Europa centro-orientale, oltre che in India, Cina e in altri paesi emergenti. Tuttavia, esse non reinvestono gli utili nei propri paesi, né per costruire nuove fabbriche, né per assumere personale o per finanziare attività di R&D e innovazione. “I lavoratori si sentono insicuri e non spendono, i mercati nazionali languono e le imprese sono pessimiste e guardano all’estero con interesse crescente, rafforzando così il circolo vizioso”, sentenzia Thorniley.

 

Rispetto al modestotasso di crescita occidentale, le vendite in Cina, Russia, India, Turchia e nell’Europa sud-orientale sono aumentate del 30%. In termini finanziari, i mercati emergenti stanno vivendo il loro momento migliore dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Secondo Thorniley, “Le strategie dei paesi occidentali sono diventate eccessivamente conservatrici, mirate alla difesa delle quote di mercato, mentre i paesi emergenti sono caratterizzati da flessibilità, adattabilità e intuizione”. E aggiunge: “In questi mercati la chiave del successo non sta solo nella logistica o nel marchio, ma anche nella costruzione di rapporti di fiducia con i partner; dopotutto, nessun mercato può continuare a crescere all’infinito del 30 o del 40%”.

La Cina è il primo paese in termini di crescita. Nonostante la difficoltà di ricavare profitti, l’appartenenza alla WTO rende la redditività soggetta a maggiore trasparenza. Ciononostante, il paese è soggetto a una forte spinta e sono molte le aziende che vogliono mettere le mani sulla torta cinese. Le multinazionali hanno ottenuto buoni risultati nelle principali aree metropolitane, ma per espandersi ulteriormente dovranno spingersi verso le regioni dell’interno, esponendosi a oneri aggiuntivi e a maggiori rischi. Anche i paesi a elevato tasso di crescita dell’Europa centro-orientale sono diventati sempre più appetibili, non solo come mercati di vendita, ma anche come siti di produzione. La Cina continua a essere più vantaggiosa per quanto riguarda i costi di manodopera, ma i paesi dell’area CEE offrono un vantaggio competitivo in termini di valore aggiunto, risorse umane, tempi di trasporto, sistemi just in time e vicinanza.

In Cina, Russia, India e in altri paesi emergenti, le società ampliano la propria presenza all’estero, rendendo sempre più inquieti gli Stati Uniti e i paesi europei. I cinesi hanno fatto acquisti consistenti in Africa, mentre cresce la concorrenza da parte di indiani e cinesi in Medio Oriente. Il loro livello tecnologico aumenta e, con esso, migliora rapidamente anche l’offerta di prodotti e servizi.

 

Invitate a misurarsinel loro stesso gioco, le imprese occidentali non sono eccessivamente disposte, secondo Thorniley, a scendere sullo stesso piano degli sfidanti. Anzi, l’atteggiamento sembra essere quello di chi dice “La globalizzazione funziona se siamo noi a dominare, ma se voi pensate di fare lo stesso, allora potete anche andare all’inferno”. Sebbene nessuno voglia di fatto guerre commerciali, esiste la minaccia reale di un’implosione del commercio mondiale, caratterizzata da accordi regionali e bilaterali. Oltre al prezzo del petrolio, tra i pericoli incombenti c’è anche l’elevato deficit di bilancio e il debito pubblico degli Stati Uniti. Il patrimonio delle banche centrali asiatiche ha raggiunto quota tremila miliardi di dollari. Se le economie asiatiche collassassero, potrebbero far tornare i capitali in patria e il dollaro potrebbe crollare. L’Europa occidentale non è in condizione di riprendere il controllo della situazione e le prospettive da parte giapponese non sono tra le più rosee.

Lo stile e l’esperienza di Thorniley suscitano elogi plebiscitari da parte dei top manager. Jean-François van Boxmeer, CEO Heineken, afferma in proposito: “Nessun altro riesce a scrivere con tale vigore, senza troppi fronzoli, come spesso succede”.