Una miniera con una missione
L’attività di estrazione del minerale di rame svolta dall’Asarco Inc. nel Complesso Mission, nel cuore del deserto sud-occidentale degli Stati Uniti, è una vera e propria battaglia contro il caldo ed i costi.Nel sud dell’Arizona, il paesaggio è splendido. Ma dietro l’azzurro profondo del cielo e le ricche sfumature della terra che si estende a perdita d’occhio, si cela un clima che non perdona. È una regione nota per il retaggio del vecchio West e caratterizzata da un’affascinante mix di influssi indiani, messicani e spagnoli. Il cactus vi cresce abbondante, il terreno è polveroso e l’aria molto secca. Nei mesi estivi, la temperatura può salire un bel po’ al di sopra dei 40 gradi centigradi. Questo è l’ambiente in cui si trova Mission, una miniera a cielo aperto gestita dall’Asarco Inc. e situata a 24 km a sud di Tucson, a circa un’ora dal confine messicano. Il nome della miniera deriva dalla vicina missione francescana di San Xavier del Bac, risalente al tardo Seicento. I geologi dell’Asarco scoprirono il giacimento di Mission nel 1955 e sei anni dopo fu avviata l’attività estrattiva.
L’attività di estrazione del minerale di rame svolta dall’Asarco Inc. nel Complesso Mission, nel cuore del deserto sud-occidentale degli Stati Uniti, è una vera e propria battaglia contro il caldo ed i costi.Nel sud dell’Arizona, il paesaggio è splendido. Ma dietro l’azzurro profondo del cielo e le ricche sfumature della terra che si estende a perdita d’occhio, si cela un clima che non perdona. È una regione nota per il retaggio del vecchio West e caratterizzata da un’affascinante mix di influssi indiani, messicani e spagnoli. Il cactus vi cresce abbondante, il terreno è polveroso e l’aria molto secca. Nei mesi estivi, la temperatura può salire un bel po’ al di sopra dei 40 gradi centigradi. Questo è l’ambiente in cui si trova Mission, una miniera a cielo aperto gestita dall’Asarco Inc. e situata a 24 km a sud di Tucson, a circa un’ora dal confine messicano. Il nome della miniera deriva dalla vicina missione francescana di San Xavier del Bac, risalente al tardo Seicento. I geologi dell’Asarco scoprirono il giacimento di Mission nel 1955 e sei anni dopo fu avviata l’attività estrattiva.
Il complesso è nato dalla fusione di cinque miniere preesistenti e si estende su oltre 8000 ettari di terreni privati, indiani e statali. La caratteristica dominante è la gigantesca fossa, simile a un cratere e tanto grande da poter contenere una piccola città: 300 metri di profondità, 4 chilometri di lunghezza e 2,4 di larghezza.
Il complesso include anche una miniera in sotterraneo e due impianti di frantumazione, macinazione e flottazione in cui vengono trattate ogni giorno 55.000 tonnellate di minerale. Il prodotto finale di Mission, un concentrato di rame che viene inviato alle fonderie per essere raffinato, rappresenta non più dell’1% del materiale estratto dalla miniera.
Una sfida unica
Diversamente da altre miniere in cui il rame viene estratto con successo, Mission non contiene un minerale che consenta la lisciviazione, cioè la separazione del rame mediante un solvente. «Questo è veramente un grosso svantaggio,» dice Charlie Carroll, responsabile dei servizi tecnici. «Il giacimento contiene fondamentalmente minerale a base di solfuro.»
Ciò significa che, invece che passare direttamente dal minerale al rame raffinato come avviene in miniere in cui si estrae per lisciviazione, a Mission è necessario sottoporre il minerale anche a fasi di frantumazione, macinatura, flottazione e fusione per ottenere il medesimo risultato. E queste fasi supplementari di lavorazione influiscono pesantemente sui costi di produzione.
Un’altra complicazione è che il minerale è più duro a maggiore profondità di scavo. «Mantenersi competitivi è ancora più importante per noi perché rappresenta una vera e propria sfida,» dice Carroll, che è originario del Texas e lavora all’Asarco dal 1985. Gran parte delle operazioni di movimento terra in grande scala in miniera sono svolte da pale elettriche dotate di benne da 47 metri cubi, in grado di caricare un dumper da 270 tonnellate in tre sole operazioni. Poi, i dumper trasportano il minerale ad uno dei due impianti di frantumazione, dove esso viene scaricato in un rumoroso frantoio primario.
Il frantoio funziona come un gigantesco mortaio e pestello, riducendo le dimensioni del minerale (i cui pezzi possono misurare fino a 2,5 metri di diametro) fino a un massimo di 25 centimetri in pochi minuti. Successivamente, il minerale frantumato viene caricato su nastri trasportatori che lo portano ad un deposito oppure direttamente ai frantoi secondari e terziari, che ne riducono la pezzatura fino a diametri non superiori a 1,25 centimetri.
«Poi, il minerale passa alla fase di macinazione e viene ridotto in grani simili, per dimensioni, ai granelli di sabbia,» dice Carroll. Lo scopo di queste operazioni è liberare i minerali di rame dal resto della roccia.
La fase successiva è la flottazione, che viene ripetuta due o tre volte. Piccole quantità di sostanze chimiche organiche vengono aggiunte ad una miscela acquosa di minerale finemente macinato. Queste sostanze aderiscono alla superficie dei minerali; così, quando la miscela viene agitata, le bolle trasportano i minerali verso la superficie del serbatoio e oltre il suo orlo.
Dopo l’ultima flottazione, il prodotto contiene un 28% di rame. «È questo il nostro concentrato,» dice Carroll. Sebbene la percentuale possa sembrare esigua, Carroll spiega che in realtà è alta. «Il minerale che flottiamo è calcopirite. Si tratta di un solfuro di rame e ferro e, chimicamente, questo minerale ha solo un 34% di rame, spiega. «Quindi, il nostro concentrato contiene calcopirite a più del 90%.»
Manutenzione preventiva
Ove ciò sia possibile, l’Asarco introduce nel processo tecniche di manutenzione e tecnologie che permettano di ridurre i costi. «Alcuni tipi di guasti ai cuscinetti possono costarci fino al 25% della produzione,» dice Carroll. Per evitare questo, l’azienda ha adottato una strategia di manutenzione proattiva. Ogni settimana, determinate macchine sono messe fuori servizio in base ad uno schema.
Carroll calcola che, in media, il 5% del tempo di esercizio a Mission viene dedicato a operazioni di manutenzione, preventivate o impreviste. Tutto ciò che può contribuire a prevedere per tempo possibili guasti, si traduce in una riduzione del tempo perso per eseguire riparazioni di emergenza.
«La manutenzione è un costo notevole. Ecco perché ogni operazione deve essere eseguita tempestivamente e correttamente fin dall’inizio,» sottolinea.
Come per tutte le risorse naturali, anche per il rame i prezzi sono dettati dal mercato mondiale. Si tratta di un prodotto molto comune, ma i costi di produzione sono elevati e, tenendo conto di questo, il prezzo è insolitamente basso. Il prezzo medio del rame nel primo trimestre del 2000 era di 1810 dollari (2078 euro) alla tonnellata, un aumento rispetto ai 1410 dollari (1618 euro) alla tonnellata per lo stesso periodo dell’anno precedente.
«Non abbiamo alcun controllo sul prezzo di vendita del nostro prodotto, quindi, per necessità, la nostra attività si regola in base ai costi,» dice Carroll. In alcuni casi, afferma, l’Asarco può esportare i suoi concentrati a paesi come Cina, Giappone e Corea dove possono essere fusi a costi inferiori rispetto agli Stati Uniti.
A Mission, oltre che estrarre il minerale, l’Asarco s’impegna per mitigare, riparare e correggere gli effetti della produzione del concentrato. In giro per l’intricata rete di strade sterrate nella miniera, spesso ci si imbatte in autocisterne da 38.000 litri che spruzzano acqua sulle strade. Per ridurre la quantità di polvere nell’aria degli stabilimenti, si utilizzano sistemi automatici di irrorazione e collettori di polvere a secco ed a umido. E la presenza di bestiame a pascolo favorisce il rinverdimento dei mucchi di scorie.
Agli attuali ritmi di produzione, dice Carroll, le riserve di minerale del complesso Mission termineranno tra circa 20 anni. «Poi, tutto sarà finito,» conclude,» a meno che non venga messa a punto una tecnologia meno costosa che renda possibile lo sfruttamento di giacimenti più marginali.»
Kathleen Saal
Giornalista, Atlanta, USA